È Stata la Mano di Dio
Paolo Sorrentino - 2021
CINEMA
Yurj
Un grande omaggio al maestro Fellini - ma non è solo questo l’ultimo film di Sorrentino - portandoci a spasso per la propria pubertà e adolescenza, attraverso le vicende di Fabietto Schisa, evidente suo alter ego.
Lo sfondo è quello della Napoli di metà anni ottanta, vista con sguardo da innamorato: gli eventuali difetti non sono che poesia. Se i personaggi che lo popolano sono caricaturizzati fino al limite del grottesco, come da canone sorrentinian-felliniano, la napoletanità che il regista racconta, non ha bisogno di essere gonfiata, essendo di per sé fuori misura, nella cafonaggine delle sceneggiate, nella sicumera che sfocia in cazzimm, come nella fierezza di chi non si lascia umiliare, nella signorilità dei modi gentili e nella sensualità dell’avvenenza e dell’ammiccamento malizioso. La rottura della norma, che sia rissa per un non nulla, che sia contrabbando o un semplice attraversare la città su una vespa madre padre e figlio, è un atto dovuto, un necessario impulso di ribellione alla morte e alla povertà.
Ciò che appare come leggerezza, la madre Maria che ai pranzi in famiglia si esibisce nella giocoleria con le arance, si rivelerà quale una sorta di scacciapensieri, una riedizione della mano di Fatima, per tenere a bada il dolore della consapevolezza del marito che la tradisce. Napoli non piange e muta in prodigio perfino il dolore.
“La realtà è scadente” fa dire Sorrentino a Fellini per bocca di Marchino, fratello maggiore di Fabietto. La realtà è scadente, per questo c’è bisogno del cinema, dell’invenzione, dell’arrivo di Maradona al Napoli, di un insperato scudetto, della “mano di Dio” che diventa un “atto politico”, una contro-umiliazione all’Inghilterra dopo la vicenda delle Malvinas, a riscattare, in un gesto che vale un goal decisivo, l’intero popolo argentino.
La morte improvvisa di entrambi i genitori di Fabietto, segna una svolta nella narrazione, forse metaforizzando la crepa dovuta ad un dolore insanabile, dando luogo quasi ad un secondo film nel film. Il giovane Schisa è un adolescente alle prese con un dolore che lo sovrasta, a cui forse si arrende, non volendosi ribellare. È un nodo che strozza la vita. Per lui è morto anche il futuro.
Fino all’incontro con il regista Antonio Capuano, che soffia forte sulla brace del suo amore per il cinema, spazzando via l’effimera infatuazione per una bella, quanto spocchiosa, giovane attrice di teatro, irrompendo nella sua vicenda umana come “quella cosa che devi assolutamente fare prima di morire”.
Inizia la rinascita. Inizia liberandosi della “prima volta” con la signorile quanto grinzosa Baronessa Focale. La prima volta è una cosa di cui liberarsi gli aveva detto il padre Saverio-Servillo. Forse la Baronessa sapeva che Fabietto era bloccato nell’attrazione-infatuazione-innamoramento, verso la zia Patrizia e lo inizia al sesso attirandolo con la scusa di un pipistrello da cacciare, poi di farsi pettinare, di farsela pettinare, fino a chiedergli, quando è ormai dentro di lei, di non guardarla in faccia, di pensare a zia Patrizia, ma avvertendolo che non può più cambiare gioco. Una scena che è un misto irrisolvibile di poesia e di cruda verità.
Forse sbloccato dalla paura e dal lutto, contravvenendo alle indicazioni del maestro Capuano, il giovane Fabietto, ormai Fabio, sale su un treno per Roma e alla stazione di Formia, sul marciapiede del binario, gli si manifesta il Monaciello. Altra presenza magica del film. Figura del miracolo e del miracoloso, perennemente con il viso celato, in quel momento decide di abbassare il cappuccio del saio e… ha i boccoli di Maradona, agita la piccola mano, verso il ragazzo che abbacinato lo guarda dal finestrino, in segno di saluto, e forse… è di nuovo La Mano di Dio.


