Parthenope

Paolo Sorrentino - 2024

CINEMARECENTI

"Ecco è arrivato lui!" E vabbé, è più forte di me.

Non recensisco films, non ne ho la competenza. Al massimo quelle che seguono sono una raccolta di impressioni, magari ripensate dopo un paio di giorni.

Intanto un alibi: ero stanco l'altra sera (sono proprio stanco in questi giorni in generale) non mi pare di aver dormito, ma le mie capacità attentive erano ridotte, per cui non mi fido del tutto di me stesso in quello che sto per scrivere. E in ogni caso questo ultimo di Sorrentino mi sfugge da tutte le parti. Non so se sia una mia personale difficoltà, questa di afferrarlo in essenza, o se sia una caratteristica del film, quella di mancare di un centro. O forse il centro è l'amore del regista per la sua città, o meglio per quel mondo, fatto di paesaggi fisici e umani, e ogni fotogramma è un'opera estetica, quasi un dipinto, celebrante vitalità e bellezza. Il centro è dunque Parthenope, che vediamo essere messa alla luce e battezzata così in nome della città, dichiarando fin da subito, e senza possibilità di errore, la metafora. Se lei è il centro, l'arco della sua storia che si dipana dagli anni cinquanta fino ai giorni nostri, è il filo conduttore. Antropologa e dunque esploratrice dell'umano, in modo da offrire al regista la scusa per fare lo stesso tipo di esplorazione. Il dispiegarsi della storia di Parthenope diventa così l'occasione per il tratteggio caricaturale, talvolta felliniano, dei tipici personaggi prediletti da Sorrentino: personalità forti decise, eccentriche, deformi o informi, nelle fattezze fisiche o talvolta nell'animo. Lo scrittore (super Gary Oldman!), il professore universitario, l'attrice ex diva, il cardinale custode delle ampolle di San Gennaro.

Non sarà un caso se a simboleggiare Napoli il regista ha chiamato la bellissima Celeste Dalla Porta, le cui reticenze la rendono un mistero inafferrabile. C'è una tensione erotica che pervade tutto il film. Sorrentino sa benissimo cosa sia l'erotismo e lo rende perfettamente attraverso la bellezza che non si lascia cogliere, attraverso la negazione a concedersi. Parthenope è consapevole della sua bellezza, del desiderio di concupiscenza che suscita, del potere che ne deriva, ma raramente la vediamo usarlo per concedersi alla sua sessualità. Sicuramente ama gli sguardi su di sé, se ne lascia accarezzare, ne gode, ma usa la sua bellezza come chiave per aprire porte, per entrare in quelle stanze difficilmente accessibili, dove vivono le creature più strane e originali, con le loro contraddizioni, le loro grandezze e le loro miserie.

L'amore di Sorrentino per la sua Napoli non è sempre un bacio o un abbraccio incondizionato, a volte è rimprovero, dettato però dall'affetto che si prova nei confronti di qualcuno o qualcosa a cui si tiene veramente e che dà rabbia vederlo sporcarsi o sprecarsi in meschinità da poco.

Parthenope è spesso contemplativa, tanto che a volte a me spettatore dava ai nervi, per questa seraficità, forse eccessiva, "ha la risposta pronta" (è un leit motiv di tutta la storia), è vera sempre, fino a colpire, talvolta è cattiva, come in quel lancinante "è colpa tua", ma le sue espressioni non sono sempre estatiche. Credo volesse anche qui rappresentare un tratto della sua città nelle inquadrature del volto di Parthenope che sfumano in pochi secondi dal pianto al sorriso o viceversa. Perché sì, i motivi per dispiacersi e addolorarsi ci sono tutti, la vita è bastarda e bastardo l'amore, ma ce ne sono altrettanti per gioire del miracolo di essere al mondo e sperimentare tutto, per di più al cospetto di tanta bellezza, quale quella di Napoli, distesa tra il Vesuvio e il Golfo, con le sue architetture aragonesi e borboniche, le sue ville ricche di archi affacciate sul mare, quasi sopra gli scogli.